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Vivere e morire con dignità
di Cinzia Sciuto
Marco Cappato, Chiara Lalli e Felicetta Maltese saranno processati per aver aiutato Massimiliano, un uomo affetto da sclerosi multipla, a porre fine alla propria esistenza in Svizzera. La gip di Firenze, Agnese di Girolamo, ha respinto la richiesta di archiviazione proposta dalla procura e ha disposto l’imputazione coatta. Cappato, Lalli e Maltese rischiano fino a 12 anni di carcere per aver aiutato un uomo a esercitare una libertà elementare: quella di non essere costretto a vivere una vita che considera una tortura.
Come già in altre occasioni, Marco, Chiara e Felicetta non lo hanno fatto di nascosto, anzi: si sono autodenunciati. Perché la loro è prima di tutto una battaglia politica. L’hanno fatto perché è l’unico modo per mostrare le palesi contraddizioni di una situazione legislativa che condanna le persone a vivere in condizioni insopportabili o, peggio, le costringe a togliersi la vita in modo violento e indecoroso.
Sono passati sei anni dalla sentenza della Corte costituzionale sul caso Cappato-DJ Fabo, che ha aperto uno spiraglio nel muro di gomma dell’ipocrisia legislativa italiana. La Corte ha disposto che in certe – limitatissime – condizioni aiutare qualcuno a morire non è reato. Fra queste condizioni molto stringenti c’è anche il fatto che la persona sia tenuta in vita da “trattamenti di sostegno vitale”. E proprio questa è una delle condizioni che secondo la giudice Di Girolamo mancavano nel caso di Massimiliano, che non era attaccato a una macchina che lo teneva in vita.
Si tratta di una evidente discriminazione fra malati perché ignora il fatto che ci sono situazioni di sofferenze insopportabili senza nessuna speranza di miglioramento nelle quali però il paziente non è attaccato a una macchina per il sostegno vitale, una di quelle macchine (come per esempio un respiratore) che se le stacchi il paziente muore nel giro di pochi minuti.
Il punto è che viviamo in un’epoca in cui l’aspettativa di vita si è allungata moltissimo. Ma con l’aspettativa di vita, si è allungata anche la possibilità di restare intrappolati in condizioni che non abbiamo scelto e che alcuni di noi considerano tortura. E ancora una volta qui si pone con grande evidenza la differenza fra un approccio laico e uno dogmatico: una legge laica che consenta il suicidio assistito non impone a nessuno di ricorrervi, mentre l’attuale situazione legislativa costringe anche chi vorrebbe porre fine alla propria vita con dignità di sopportare il fardello di sofferenze indicibili.
Da questo governo non ci si può aspettare molto su questo fronte. E però questo è un tema su cui c’è un grandissimo consenso popolare e sarebbe forse immaginabile costruire una maggioranza parlamentare trasversale ad hoc per una legge che finalmente rispetti la dignità delle persone fino alla fine.
La nostra solidarietà a Marco Cappato, Chiara Lalli e Felicetta Maltese è piena e incondizionata. Non lasciamoli soli. Non lasciamo solo chi soffre. E continuiamo a lottare perché nessuno sia più costretto a vivere contro la propria volontà una vita che non considera più degna di essere vissuta.
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