Mi spiace ma questa posizione mi sembra una pessima semplificazione.
Non si tratta di discriminare tra malati diversi, si tratta di porre dei limiti per tutelare i più deboli: a questo serve il requisito posto dalla Suprema Corte in merito ai trattamenti di sostegno vitale.
Non per ragioni ideologiche ma piuttosto pragmatiche. Per quale motivo in Italia, a differenza di ciò che avviene in altri Paesi, non consentiamo che una persona possa "liberamente" vendere un proprio rene? perché temiamo che vi sarebbero abusi: il più forte economicamente ne trarrebbe vantaggio, mentre i "donatori" sarebbero gli ultimi della società, che senza altri mezzi a disposizione sarebbero pronti a tutto.
In Canada, se un disabile, telefonando per lamentarsi della lentezza dell'assistenza sanitaria a risolvere i suoi problemi, si lascia sfuggire la frase "non ce la faccio a vivere così" si sente rispondere "c'è sempre il suicidio assistito".
L'anno scorso, sul Times, Matthew Parris ha sostenuto che il suicidio assistito sarebbe utile per ridurre i costi del sistema sanitario nazionale, evitando la spesa per pazienti anziani ("We can’t afford a taboo on assisted dying").
Perciò la Suprema Corte ha fatto benissimo a porre dei limiti: la libertà di autodeterminazione non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni di tutela della vita, essendo necessario un bilanciamento, "anche per scongiurare il pericolo che coloro che decidono di porre in atto il gesto estremo e irreversibile del suicidio subiscano interferenze di ogni genere", soprattutto "le persone più deboli e vulnerabili", "che attraversano difficoltà e sofferenze" "collegate a situazioni magari solo momentanee".
"I rischi in questione non riguardano solo la possibilità che vengano compiute condotte apertamente abusive da parte di terzi a danno della singola persona che compia la scelta di porre termine alla propria esistenza, ma riguardano anche la possibilità che, in presenza di una legislazione permissiva non accompagnata dalle necessarie garanzie sostanziali e procedimentali, si crei una «pressione sociale indiretta» su altre persone malate o semplicemente anziane e sole, le quali potrebbero convincersi di essere divenute ormai un peso per i propri familiari e per l’intera società, e di decidere così di farsi anzitempo da parte".
Cappato e gli altri hanno volutamente sfidato i limiti, e stavolta personalmente spero che ne paghino le conseguenze, perché in pieno stile neoliberista i limiti che hanno tentato di abbattere in questa circostanza non sono quelli che limitano la dignità umana ma quelli che la tutelano.
Mi spiace ma questa posizione mi sembra una pessima semplificazione.
Non si tratta di discriminare tra malati diversi, si tratta di porre dei limiti per tutelare i più deboli: a questo serve il requisito posto dalla Suprema Corte in merito ai trattamenti di sostegno vitale.
Non per ragioni ideologiche ma piuttosto pragmatiche. Per quale motivo in Italia, a differenza di ciò che avviene in altri Paesi, non consentiamo che una persona possa "liberamente" vendere un proprio rene? perché temiamo che vi sarebbero abusi: il più forte economicamente ne trarrebbe vantaggio, mentre i "donatori" sarebbero gli ultimi della società, che senza altri mezzi a disposizione sarebbero pronti a tutto.
In Canada, se un disabile, telefonando per lamentarsi della lentezza dell'assistenza sanitaria a risolvere i suoi problemi, si lascia sfuggire la frase "non ce la faccio a vivere così" si sente rispondere "c'è sempre il suicidio assistito".
L'anno scorso, sul Times, Matthew Parris ha sostenuto che il suicidio assistito sarebbe utile per ridurre i costi del sistema sanitario nazionale, evitando la spesa per pazienti anziani ("We can’t afford a taboo on assisted dying").
Perciò la Suprema Corte ha fatto benissimo a porre dei limiti: la libertà di autodeterminazione non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni di tutela della vita, essendo necessario un bilanciamento, "anche per scongiurare il pericolo che coloro che decidono di porre in atto il gesto estremo e irreversibile del suicidio subiscano interferenze di ogni genere", soprattutto "le persone più deboli e vulnerabili", "che attraversano difficoltà e sofferenze" "collegate a situazioni magari solo momentanee".
"I rischi in questione non riguardano solo la possibilità che vengano compiute condotte apertamente abusive da parte di terzi a danno della singola persona che compia la scelta di porre termine alla propria esistenza, ma riguardano anche la possibilità che, in presenza di una legislazione permissiva non accompagnata dalle necessarie garanzie sostanziali e procedimentali, si crei una «pressione sociale indiretta» su altre persone malate o semplicemente anziane e sole, le quali potrebbero convincersi di essere divenute ormai un peso per i propri familiari e per l’intera società, e di decidere così di farsi anzitempo da parte".
Cappato e gli altri hanno volutamente sfidato i limiti, e stavolta personalmente spero che ne paghino le conseguenze, perché in pieno stile neoliberista i limiti che hanno tentato di abbattere in questa circostanza non sono quelli che limitano la dignità umana ma quelli che la tutelano.