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Il Contrappunto di Cinzia Sciuto
Risparmiamo all’Ucraina almeno una lenta agonia
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Risparmiamo all’Ucraina almeno una lenta agonia

Con la volontà di disimpegno statunitense ormai certificata, la palla passa inevitabilmente all'Europa. E le opzioni in campo non sono poi molte.
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Zelensky e Trump all'Aja in occasione del vertice della Nato il 25 giugno 2025. Foto tratta dal profilo X ufficiale del presidente ucraino.

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Risparmiamo all’Ucraina almeno una lenta agonia

di Cinzia Sciuto

Che la parola di Donald Trump fosse totalmente inaffidabile lo sapevamo già. Ne avevamo avuto recente conferma nella vicenda iraniana, quando l’annuncio che si sarebbe preso due settimane per decidere se intervenire o no è svanito nella polvere di un attacco sferrato il giorno seguente. E tuttavia rimaniamo allibiti di fronte alla sfacciata ipocrisia con cui, al vertice Nato dell'Aja, Trump ha offerto rassicurazioni a Zelensky – con tanto di accenno a un possibile incremento dei sistemi di difesa Patriot – per poi comunicare dopo pochi giorni con nonchalance un improvviso ridimensionamento del sostegno militare a Kyïv, a partire proprio da quei sistemi di difesa così necessari all’Ucraina. È la dimostrazione plastica di una politica estera ridotta a chiacchiere, dove la coerenza è un optional e i patti internazionali hanno la consistenza di un tweet.

Questa decisione, va detto per onestà, non è che la logica e coerente conseguenza dell’approccio dell'attuale amministrazione statunitense alla guerra in Ucraina: per Trump la difesa di Kyïv è una fastidiosa incombenza ereditata dall’odiato Biden, una scocciatura di cui liberarsi con cinica noncuranza. Il destino dell’Ucraina è, per Washington, del tutto indifferente, un fastidio da archiviare quanto prima, a qualunque costo.

E qui si annida il nodo tragico della questione, che non riguarda solo l'erratica inaffidabilità di Trump, ma investe la coscienza anche europea. Dopo più di tre anni di guerra, dopo centinaia di migliaia di morti e dopo aver alimentato la resistenza ucraina con promesse solenni e aiuti centellinati, sempre un passo indietro rispetto alle reali necessità, ci troviamo a un punto di rottura. Avemmo paura, all'inizio, di imporre una no-fly zone per il timore di irritare Putin, inaugurando così una strategia di supporto timido, sufficiente a prolungare il conflitto ma non a determinarne l'esito. Il risultato è che oggi, di fronte al probabile abbandono statunitense, rischiamo di lasciare che l'Ucraina venga fagocitata dalla Russia di Putin, dopo averla spinta a un sacrificio immane in nome di una solidarietà che, a conti fatti, si sta rivelando effimera.

Di fronte a questo scenario, con la volontà di disimpegno statunitense ormai certificata, la palla passa inevitabilmente all'Europa. E le opzioni in campo non sono poi molte: o l'Unione europea trova la forza politica, economica e militare di sostituirsi integralmente al sostegno statunitense, assumendosi l'onere totale della difesa ucraina, oppure dobbiamo trovare il coraggio di dire con chiarezza e senza ambiguità che non sosterremo più l’Ucraina. Certo, significherebbe, di fatto, invitare Kyïv a una resa incondizionata – con conseguenze non solo sull’Ucraina ma sull’Europa tutta che difficilmente possiamo prevedere –, ma almeno le eviteremmo una lunga agonia scandita dalla nostra ipocrisia.

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