Il Contrappunto è la rubrica sull’attualità della direttrice di MicroMega Cinzia Sciuto. Questo contenuto è gratuito. Sul nostro sito trovi molti altri approfondimenti riservati agli abbonati. Puoi leggerli a partire da 4,90 al mese. Scegli il piano più adatto a te per non perderli.
La strage di Sumy, perpetrata da Putin domenica 13 aprile, ha giustamente suscitato l’indignazione della comunità internazionale, persino di Donald Trump. Politici e commentatori si sono affrettati a denunciare il crimine di guerra, l’orrore di un vile attacco sferrato peraltro in un giorno in cui i credenti celebravano una delle feste più importanti del calendario cristiano, la Domenica della Palme. Una reazione e una indignazione che ci piacerebbe leggere e sentire anche in riferimento al massacro di Gaza, che invece continua imperterrito giorno dopo giorno. E che anche lì profana (pure) giornate sacre per i credenti, come il Ramadan, che quest’anno si è svolto nel sangue.
E sì, lo sappiamo bene che, a differenza di quella russa sull’Ucraina, la guerra di Israele contro Gaza ha preso avvio in risposta al barbaro attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, che in un solo giorno ha fatto più di mille vittime (quasi tutte civili) e ha preso decine e decine di ostaggi. E sappiamo anche che a Gaza Hamas usa infrastrutture civili – a partire dagli ospedali – come basi e rifugio, fornendo così a Israele un ottimo pretesto per non fare più distinzioni fra obiettivi militari e civili.
Ma è sotto gli occhi di tutti che l’azione di Israele ha di gran lunga superato i confini di una mera risposta al 7 ottobre e ha assunto i contorni di un’operazione di sterminio sistematico contro un intero popolo. Non è più una guerra contro Hamas. È diventata una guerra contro i palestinesi. Contro i civili. Contro i giornalisti. Contro il personale sanitario. Contro chiunque si trovi nel mirino di un esercito che ha smarrito ogni senso di proporzionalità e di umanità. Prendendo a prestito le parole di uno dei palestinesi che nelle scorse settimane ha partecipato alle manifestazioni a Gaza(manifestazioni che erano contro la guerra e allo stesso tempo contro Hamas): “Hamas non è più il bersaglio, è il pretesto”.
E mentre i civili palestinesi vengono schiacciati tra il fanatismo di Hamas e la brutalità dell’esercito israeliano, la comunità internazionale – con pochissime eccezioni – tace, contribuendo a smontare pezzo per pezzo il principio cardine del diritto internazionale: la sua universalità. Il diritto non è al servizio dei più forti. La forza del diritto – anche quello internazionale – è esattamente (dovrebbe essere) ciò che ci permette di rovesciare il diritto della forza. Per questo fa paura a chi detiene il potere. E per questo dovremmo difenderlo con le unghie e con i denti.
E invece, che facciamo? Di fronte alla Corte penale internazionale che emette un mandato di cattura per crimini di guerra e contro l’umanità nei confronti di Netanyahu, leader europei – e non parliamo solo di Orbán, ma anche per esempio di Merz in Germania o di Tajani in Italia – dichiarano pubblicamente che non lo eseguirebbero. Ossia che si metterebbero di traverso alla giustizia internazionale, come ha già fatto Orbán accogliendo Netanyahu e dichiarando di voler uscire dal Trattato che istituisce la Corte. Uno schiaffo al diritto. Un colpo mortale all’idea stessa di giustizia. E, in fin dei conti, un colpo a tutti noi. Perché quando il diritto si piega al potere, nessuno è al sicuro. Nemmeno quelli che oggi si credono al riparo.
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