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Il Contrappunto di Cinzia Sciuto
Il déjà vu della guerra preventiva
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Il déjà vu della guerra preventiva

Quello sferrato da Israele all’Iran è un attacco che non ha fondamento alcuno nel diritto internazionale.
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A view of the damaged building of Iranian state TV (IRIB) after an Israeli airstrike in Tehran, Iran, 19 June 2025. EPA/ABEDIN TAHERKENAREH/ANSA

Il Contrappunto è la rubrica sull’attualità della direttrice di MicroMega Cinzia Sciuto. Questo contenuto è gratuito. Sul nostro sito trovi molti altri approfondimenti riservati agli abbonati. Puoi leggerli a partire da 4,90 al mese. Scegli il piano più adatto a te per non perderli.

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Il déjà vu della guerra preventiva
di Cinzia Sciuto

Il 13 giugno scorso Israele ha sferrato un attacco contro l’Iran. L’attacco è stato giustificato con la necessità di prevenire una minaccia imminente: secondo il governo israeliano, Teheran era sul punto di dotarsi dell’arma nucleare. E poiché il regime della Repubblica islamica non ha mai fatto mistero di volere la cancellazione di Israele dalla carta geografica, si è sostenuto che un Iran dotato della bomba atomica avrebbe rappresentato un pericolo esistenziale per lo Stato israeliano.

Peccato però che, per quanta repulsione possa farci il regime degli ayatollah – una teocrazia islamica fondamentalista, liberticida e misogina contro la quale ci battiamo da sempre – pare che di prove concrete di questa minaccia imminente non ce ne siano. Sia l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) sia i servizi segreti statunitensi hanno negato che l’Iran fosse davvero vicino al possesso di un’arma nucleare. In un suo recente rapporto – quello utilizzato da Israele per giustificare il proprio attacco – l’Aiea ha sì segnalato alcune irregolarità nel rispetto degli accordi previsti dal Trattato di non proliferazione nucleare, ma non ha mai affermato che Teheran fosse in procinto di costruire la bomba. E secondo l’intelligence statunitense, un’eventuale arma funzionante non sarebbe comunque pronta prima di almeno tre anni. Se minaccia c’era dunque, non era dunque così immediata.

Perché dunque attaccare proprio adesso? Paradossalmente si potrebbe ipotizzare che Netanyahu volesse anticipare il momento in cui sarebbe diventato evidente che la minaccia nucleare iraniana non esisteva. Dopo avrebbe perso il suo casus belli, che gli serviva perché aveva bisogno di una nuova guerra. Quella a Gaza stava diventando infatti sempre più difficile da sostenere sul piano internazionale: di fronte alle palesi violazioni del diritto internazionale e soprattutto all’uso della fame come arma di guerra, il sostegno di molti alleati occidentali iniziava a vacillare. Era dunque necessario aprire un nuovo fronte, rilanciare la minaccia esistenziale, compattare il consenso interno e internazionale.

Tutto questo, inevitabilmente, fa tornare alla mente precedenti non troppo lontani: il caso dell’Iraq nel 2003, con Colin Powell che agitava una fiala alle Nazioni Unite parlando di armi di distruzione di massa che poi non sono mai state trovate. Anche allora si giustificò un attacco militare contro un regime dittatoriale con la necessità di prevenire un pericolo che poi si è rilevato inesistente. Con conseguenze devastanti rispetto alla stabilità dell’Iraq post-Saddam.

Ma qui tocca fare un ulteriore passo di onestà intellettuale e dire che, anche ammesso che l’Iran fosse davvero intenzionato a dotarsi della bomba atomica, l’attacco israeliano costituirebbe comunque una violazione del diritto internazionale. La guerra preventiva, infatti, non è legittima, proprio perché aprirebbe la porta a qualsiasi uso della forza fondato su valutazioni soggettive. Chiunque si senta minacciato sarebbe autorizzato ad attaccare anche se non si fosse in presenza di una aggressione militare in atto. Si tratta dello stesso identico argomento usato da Vladimir Putin per giustificare l’aggressione all’Ucraina ricorrendo alla presunta minaccia rappresentata dall’allargamento della Nato a Est (e diversi paesi della Nato sono dotati di armi nucleari per cui la minaccia dal punto di vista soggettivo di Putin era molto concreta e grave).

Ci sono due ragioni per essere contrari a questa guerra: una è quella di chi simpatizza per il regime iraniano, e tra costoro ci sono anche alcune frange della sinistra, che scambiano ogni regime anti-occidentale per un alleato politico; l’altra – lontana anni luce dalla prima – è quella di chi difende la legalità internazionale, che ha un solo presupposto: che valga per tutti.

Resta ora da vedere che cosa farà Donald Trump. Ha costruito la sua intera campagna elettorale sulla promessa di chiudere le guerre in corso e di non aprirne di nuove. Le prime non pare proprio che stia riuscendo a chiuderle, e oggi sta forse per aprirne una con un potenziale devastante. Siamo di fronte a un Trump debolissimo, stretto tra le pressioni del governo israeliano e un’opinione pubblica statunitense che, per larga parte e anche fra il suo elettorato, non vuole che gli Usa aprano un nuovo fronte di guerra. L’esito di questa vicenda dipenderà dunque da un mero calcolo politico-elettorale. Certo non dal rispetto del diritto internazionale.


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