Social media e salute mentale dei giovani: quale nesso?
Un estratto del dialogo tra Candice Odgers e Jonathan Haidt contenuto nel volume di MicroMega "Disconnessi. L'impatto dei social sulle nostre vite".
Il volume 3-2025 di MicroMega – “Disconnessi. L’impatto dei social sulle nostre vite” – esplora il tema dei social media muovendosi lungo due assi principali: da un lato, l’impatto dei social sulla politica e sul dibattito pubblico; dall’altro, le trasformazioni che essi imprimono sulle nostre vite, sulle nostre relazioni, su chi siamo.
Il volume contiene tra le altre cose un denso dialogo tra Candice Odgers - psicologa quantitativa e dello sviluppo - e Jonathan Haidt - psicologo sociale, autore del bestseller internazionale La generazione ansiosa (Rizzoli, 2024) - sull’impatto dei social media sul benessere e sulla salute mentale di giovani e adolescenti. Ne pubblichiamo un estratto.
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Social media e salute mentale dei giovani:
quale nesso?
Candice Odgers/ Jonathan Haidt
[…]. Candice Odgers: Ci sono segnali evidenti di un aumento dei problemi di salute mentale tra i giovani negli Stati Uniti. Questo è chiarissimo. Lo vediamo dai dati di autovalutazione, cioè da ciò che i ragazzi e le ragazze ci raccontano direttamente. Lo vediamo dai dati dei pronto soccorso. Lo vediamo dall’aumento dei tassi di suicidio, soprattutto tra le ragazze. Queste tendenze sono piuttosto chiare, da almeno un decennio. Ora, si discute molto su quanto di questo aumento sia “reale”. Ci sono infatti diversi fattori che sono cambiati negli ultimi dieci anni. I giovani sono oggi più disposti a parlare apertamente di questi temi, ed è un fatto positivo. Sono anche più propensi a cercare aiuto. E siamo tutti più disponibili ad affrontare pubblicamente certe questioni. Tutti questi elementi contribuiscono all’aumento che osserviamo nei dati.
[…]. Tutto ciò ha generato un dibattito molto acceso rispetto a quanto queste trasformazioni abbiano influito sull’aumento che osserviamo nei dati. Io però non mi concentrerei troppo sull’idea di “cambiamento”. Studio la salute mentale degli adolescenti da vent’anni e in tutto questo tempo una cosa è sempre stata vera: circa il 20% dei giovani ha avuto – e continua ad avere – problemi di salute mentale, senza però ricevere le cure di cui avrebbe bisogno. Si tratta dunque di una questione che merita tutta la nostra attenzione.
Dobbiamo però sempre tener conto del contesto in cui i giovani sono inseriti, e la verità è che ci troviamo in mezzo a una crisi di salute mentale che riguarda gli adulti. […] Quando parliamo di salute mentale dei giovani, dobbiamo parlare anche della salute mentale delle persone che li circondano.
Jonathan Haidt: […] Insieme a Zach Rausch ho analizzato i dati longitudinali provenienti da varie parti del mondo, soprattutto dai paesi occidentali (purtroppo non abbiamo dati affidabili dall’America Latina, dall’Africa e da altre regioni). Abbiamo rilevato due fatti molto importanti. Il primo è che in molti paesi non si osservano particolari variazioni nei primi anni Duemila. Poi, all’improvviso, all’inizio degli anni Dieci, i numeri iniziano a salire bruscamente. Mi riferisco soprattutto a disturbi come ansia e depressione. E l’aumento è più netto tra le ragazze. Questo schema si ripete in molti paesi. Questo significa che non possiamo attribuire il fenomeno a una singola causa, come ad esempio l’Affordable Care Act negli Stati Uniti, e affermare: “È stato quello”. Detto ciò, non tutti i paesi hanno registrato questi aumenti. […]
Io e Zach interpretiamo la situazione in questo modo: quando è arrivato lo “tsunami” digitale, cioè il passaggio dai vecchi cellulari agli smartphone e l’uso massiccio dei social, i ragazzi inseriti in comunità religiose o in contesti culturali più “rigidi” – secondo la distinzione di Michele Gelfand – sono stati in qualche modo protetti rispetto a quelli cresciuti in contesti più “permissivi”, come è il caso dei paesi anglofoni e scandinavi, società molto libere in cui i giovani godono di grande autonomia. Ora, la libertà è una cosa positiva e non si tratta di dire semplicemente (e penso che su questo siamo d’accordo): “Se usi i social media, diventi depresso”. Il punto è che il cambiamento enorme e rapidissimo avvenuto tra il 2010 e il 2015 ha interagito con fattori culturali. Come diceva Candice, i ragazzi sono inseriti in contesti, in ambienti. E quelli che erano più radicati in comunità reali di adulti sono stati maggiormente protetti. Tutto questo si collega perfettamente a ciò che Émile Durkheim aveva osservato sul suicidio già 120 anni fa: è nelle società più libere, dove le persone non sono legate da vincoli sociali forti, che i tassi di suicidio tendono a essere più alti. […].
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Con contributi di: Daniel Miller, Jonathan Haidt, Candice Odgers, Marco Deseriis, Francesco Brusa, Vito Saccomandi, Christian Elia, Paolo Gerbaudo, Gloria Origgi, Emma Catherine Gainsforth, Andrea Daniele Signorelli, Pierfranco Pellizzetti, Serena Ciranna, Fabio Bartoli, Stefana Broadbent, Nicola Grandi, Mariasole Garacci, Paolo Ercolani, Elettra Santori, Bianca Arrighini, Francesco Cancellato e Gianmichele Laino.