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Pasticciaccio libico
di Cinzia Sciuto
Due vicende apparentemente indipendenti – la gestione del caso al-Masri e il clamoroso respingimento del ministro Piantedosi da Bengasi – si intrecciano nello stesso scenario: la Libia. Due episodi che raccontano molto di come questo governo sta gestendo i rapporti internazionali, il diritto, la sicurezza.
Andiamo con ordine. Le opposizioni accusano il ministro Nordio di aver mentito alle Camere nella ricostruzione della vicenda che ha portato al rimpatrio di al-Masri, perché avrebbe detto di aver saputo dell’arresto solo il 20 gennaio. In verità, nell’informativa del 5 febbraio, il ministro ha ammesso che il ministero (sottolineiamo il ministero, non il ministro) era stato informato già il 19 gennaio, alle 12:37, tramite “una comunicazione informale inviata da un funzionario dell’Interpol a un dirigente del ministero” dell’arresto di al-Masri. Una mail, dice Nordio, “priva di dati identificativi” e senza riferimenti espliciti al mandato di cattura della Corte penale internazionale dell’Aja. Un’informazione non solo non ufficiale ma anche vaga, dunque. Poi Nordio aggiunge che il primo carteggio completo, formale, protocollato, contenente tutti i dati rilevanti della vicenda, è arrivato solo il giorno successivo, lunedì 20 gennaio alle 12:40. E su quel materiale, sostiene, si sarebbe messo immediatamente al lavoro per analizzarlo (con una certa fatica, poiché era scritto in inglese, sottolinea più volte), rilevandone diverse incongruenze. Mentre il ministro studiava le carte, il 21 gennaio l’avvocato di al-Masri ne chiede la scarcerazione, accolta il giorno dopo dalla Corte d’appello essendo trascorsi i termini di legge per il trattenimento.
Quello che è decisamente poco credibile nella ricostruzione del ministro è che la “comunicazione informale” di domenica 19 gennaio fosse davvero a tal punto priva di informazioni da passare inosservata: se non conteneva “dati identificativi” né riferimenti al mandato della Cpi, cosa conteneva esattamente questa comunicazione? Stando alle rivelazioni di questi giorni, pare che quella comunicazione contenesse proprio tutti i dati rilevanti della vicenda, tanto da mettere in allarme la capo di gabinetto e presumibilmente il governo tutto e dare il via a una girandola di comunicazioni per decidere il da farsi. E, una volta deciso che questa “patata bollente” non poteva rimanere in Italia, indurre Nordio a mettersi a studiare le carte per trovare gli agganci giuridici a sostegno di questa decisione, tutta politica.
Questi i fatti per come con ogni probabilità di sono realmente svolti. Certo, se con quella decisione il governo Meloni contava di tenere buoni i rapporti con la Libia, la seconda vicenda di questi giorni – il respingimento a Bengasi della delegazione europea di cui faceva parte Piantedosi – non pare confermare la correttezza di questa strategia. Come si sa, la Libia in realtà non esiste, esistono almeno due Libie: una è quella del governo ufficialmente riconosciuto di Tripoli e l’altra è quella del governo di Bengasi che non è ufficialmente riconosciuto e con cui però si intrattengono rapporti; la delegazione europea si stava dirigendo proprio lì. La decisione del governo di Bengasi di non accogliere la delegazione europea è una dimostrazione di forza nel tentativo di mettere in chiaro “chi ha le carte” – per usare un’espressione trumpiana – nella questione della gestione dei flussi dei migranti.
Ma la situazione in Libia è ancora più caotica, basti pensare agli scontri fra le diverse fazioni di qualche settimana fa. Ed è in questo contesto che si muove al-Masri, che oltre a essere un conclamato torturatore, stupratore e assassino di migranti, è anche uno dei leader di una delle fazioni che si oppone al governo di Tripoli. Governo che non a caso ha deciso di dare seguito al mandato di cattura della Corte penale internazionale. Se al-Masri finisse davanti alla Cpi arrestato dalla Libia dopo che era stato liberato dall’Italia, per il nostro paese sarebbe uno smacco clamoroso.
In tutto questo, si intravede sullo sfondo anche un possibile scenario più ampio: quello della guerra ibrida. La Libia come campo di battaglia di potenze esterne. Tra queste, la Russia di Putin, che sostiene il governo di Bengasi, e a cui la figuraccia rifilata ai ministri europei non deve certo essere dispiaciuta. L’ipotesi che la gestione del caso al-Masri e l’“incidente diplomatico” di Piantedosi siano pezzi di una strategia destabilizzante contro l’Europa – e contro l’Italia in particolare – non è affatto peregrina.
Ora, tutto questo rischia di diventare una mina politica devastante per il governo Meloni. Perché non basterà scaricare la responsabilità su qualche funzionario, come la capo di gabinetto di Nordio, Giusi Bartolozzi soluzione che già si profila. Se il Tribunale dei ministri dovesse certificare un’omissione di atti d’ufficio da parte di Nordio, il ministro della Giustizia sarà costretto a dimettersi. E Nordio non è un ministro qualunque. Non è un ministro sacrificabile come Sangiuliano. È il volto della riforma della giustizia, una delle tre riforme-simbolo del governo Meloni. Se cade lui, potrebbe portare con sé tutto il governo.
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