Paolo Flores d'Arcais: "Commiato di lotta e di speranza"
Un estratto del volume 5/2024 di MicroMega.
Caro lettore, cara lettrice,
come sai, Paolo Flores d’Arcais ha passato il testimone della direzione di MicroMega a Cinzia Sciuto. Il testo che segue è un estratto del saggio con cui, nel volume 5/2024, l’ultimo da lui diretto, saluta il pubblico ripercorrendo la sua vicenda politica e intellettuale e con essa non solo la storia della rivista (da lui co-fondata nel 1986 insieme a Giorgio Ruffolo), ma quella di un intero paese: dal rapporto con il Pci e il Psi di Craxi alla candidatura di Romano Prodi contro Silvio Berlusconi (di fatto anticipata da un intervento su MicroMega), dal sostegno al pool di Mani pulite e alle battaglie antimafia di Falcone e Borsellino ai girotondi con Pancho Pardi e Nanni Moretti. Nella ferma convinzione che senza una sinistra illuminista non ci sarà mai lotta e meno che mai possibilità di vittoria contro le destre.
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“Commiato di lotta e di speranza”
di Paolo Flores d’Arcais
[…]. Per MicroMega l’anno spartiacque fu il 1992. L’anno di Mani pulite e dell’assassinio di mafia di Falcone e Borsellino. Dopo l’omicidio di Falcone, di cui aveva appena pubblicato un testo, MicroMega organizzò il 25 giugno, con il sostegno del sindaco Leoluca Orlando, una partecipatissima iniziativa di commemorazione e lotta nel grande cortile della biblioteca comunale Casa Professa di Palermo, cui deciderà di partecipare, mentre era in corso, anche Paolo Borsellino, che pronuncerà, in quello che sarà il suo ultimo intervento pubblico, un vero e proprio J’accuse contro politici e magistrati che avevano lasciato Falcone isolato. «Giovanni Falcone cominciò a morire nel gennaio del 1988», ripete Borsellino in sintonia con Antonino Caponetto che del pool antimafia era stato per anni a capo. «Si aprì la corsa alla successione all’ufficio istruzione al tribunale di Palermo. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Consiglio superiore della magistratura ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli». Questo discorso di Borsellino andrebbe riletto tutto, con un attacco alzo zero alla Cassazione che nelle sue sentenze in pratica disconosce l’esistenza della mafia, con un addolorato strale a Leonardo Sciascia che sul Corriere della Sera aveva accusato proprio Borsellino di essere un «professionista dell’antimafia» e moltissimo altro su un clima che è poi quello che oggi, grazie a berlusconismo, inciuci delle “sinistre” e melonismo, ha stravinto.
Nei dieci/quindici minuti in cui si fermò a fine assemblea a parlare con me ebbe parole durissime nei confronti di due ministri che insistevano perché diventasse lui il Procuratore nazionale antimafia, utilizzando la metafora «sarebbe come mettermi un bersaglio sulla schiena».
Quanto all’inchiesta Mani pulite, MicroMega fin dall’inizio assume la vicenda come l’occasione per una grande svolta di legalità, addirittura una rivoluzione della legalità, cruciale e indispensabile per affrontare un intreccio di malagiustizia, malapolitica, malaimprenditoria, che umilia le risorse imprenditoriali, culturali, sociali, morali del paese, soffocate dai legami di sudditanza e di scambio fra politici che tradiscono il loro dovere di «disciplina e onore» del dettato costituzionale (art. 54) e imprenditori la cui capacità non ha nome innovazione ma capacità di intrallazzo.
Intreccio disastroso su tutti i piani: quello economico, perché fa vincere gli appalti ai meno capaci e ai più costosi, un chilometro di autostrada o metropolitana costa in Italia varie volte quello che costa in Francia Germania Spagna, e così fino all’appalto più piccolo di paese in una diffusione onnipervasiva della corruzione; e quello politico, distorcendo radicalmente il meccanismo elettorale. Una mazzetta un voto, una pallottola un voto, una raccomandazione un voto (ma anche una messa un voto!) e il principio una testa un voto, che poi è anche un voto dato con la propria testa, si eclissa e si vanifica. Aggravando, in mala sinergia, crisi economica politica morale e culturale.
La legalità è una precondizione per una vita democratica effettiva o almeno decente. La legge che per qualcuno è più eguale che per altri è un incentivo all’arraffo generalizzato, al familismo amorale, alla mancanza di senso dello Stato, alla distruzione di ogni etica repubblicana, fondamento ultimo e unico di una democrazia. Perché la democrazia è l’ordinamento politico fragilissimo che si regge solo su se stesso, come il barone di Münchhausen con il suo codino: alla resa dei conti, solo una schiacciante maggioranza di cittadini che hanno interiorizzato come proprio interesse la difesa dei valori costituzionali può costituirne una garanzia o almeno un puntello.
La storia politica italiana del dopoguerra purtroppo era stata ed è largamente la storia di una politica criminale. Del resto anche il pre fascismo, per non parlare ovviamente del fascismo male assoluto, ha sempre vissuto strutturalmente dell’intreccio con il grande potere criminale, basterebbe ricordare la vicenda della Banca romana. L’impunità di chi è legato al potere è il filo nero mai interrotto, che ha minato l’instaurarsi della democrazia in Italia.
Giulio Andreotti, ennesime volte presidente del Consiglio e ministro nei dicasteri più importanti, è l’emblema e la silloge di questo perverso kombinat che ha menomato e amputato costantemente la democrazia in Italia. A non vedere questi fatti, costellati da centinaia di morti, è solo chi riduce la democrazia a processo elettorale, come se essa non poggiasse su stringenti ed esigenti presupposti anche sostantivi, e al posto di un’analisi realistica, cioè critica, degli avvenimenti si dedica a una storiografia agiografica per cui anche le vicende più clamorose e reiterate di connubio indistricabile fra apparati dello Stato e crimini di massa, come le varie stragi da Portella della Ginestra a via dei Georgofili, passando per Banca dell’agricoltura, Italicus, Brescia, non sarebbero altro che episodi di occasionali mele marce in una cesta di democrazia fragrante. Mentre è empiricamente vero il contrario, sacche e ridotti di politici autenticamente democratici in un insieme strutturalmente inquinato dall’intreccio affaristico mafioso statal-deviato e partitocratico. […].
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Nel volume in libreria troverai inoltre gli interventi di: Valentina Alferj, Simona Argentieri, Corrado Augias, Gianni Barbacetto, Pierluigi Battista, Marco Benedetto, Alfonso Berardinelli, Paolo Berizzi, Massimo Cacciari, Mimmo Calopresti, Luciano Canfora, Marco Cappato, Lucio Caracciolo, Gian Carlo Caselli, Giorgio Cesarale, Piero Colaprico, Furio Colombo, Francesco e Giuditta Cordero, Pino Corrias, Marco Damilano, Piercamillo Davigo, Carlo De Benedetti, Ferruccio de Bortoli, Maurizio de Giovanni, Marco d’Eramo, Stefano Disegni, Beppino Englaro, Mattia Feltri, Maurizio Ferraris, Rino Formica, Giovanni Fornero, Massimiliano Fuksas, Carlo Galli, Ernesto Galli della Loggia, Alessandro Gilioli, Włodek Goldkorn, Miguel Gotor, Giovanni Grasso, Irena Grudzinska-Gross, Mark Lilla, Valerio Magrelli, Riccardo Mannelli, Dacia Maraini, Ezio Mauro, Giampiero Mughini, Gloria Origgi, Vincenzo Paglia, Francesco ‘Pancho’ Pardi, Valeria Parrella, Corrado Passera, Pierfranco Pellizzetti, Stefano Petrucciani, Telmo Pievani, Josep Ramoneda, Norma Rangeri, Claudio Sabelli Fioretti, Lucetta Scaraffia, Roberto Scarpinato, Cinzia Sciuto, Filippo Sensi, Michele Serra, Mario Sesti, Carlo Severi, Luca Tescaroli, Aldo Tortorella, Pere Vilanova, Gustavo Zagrebelsky, Luigi Zanda, Matteo Maria Zuppi.