“Libere dalla violenza”: in esclusiva per i nostri lettori l’editoriale di apertura del nuovo numero di MicroMega
L’ultimo volume della rivista è dedicato alla lotta contro la violenza sulle donne.
Il nuovo numero di MicroMega è un volume monografico dedicato alla lotta contro la violenza sulle donne. Lo trovi nelle librerie, fisiche e online, e nella nostra edicola virtuale shop.micromega.net.
Come è ormai consuetudine, in queste newsletter domenicali ti raccontiamo meglio alcuni contenuti del volume. Oggi ti proponiamo in esclusiva l’editoriale di apertura del volume a firma del direttore Paolo Flores d’Arcais e della condirettrice Cinzia Sciuto.
AI LETTORI
Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che è il tema a cui abbiamo deciso di dedicare questo volume. Cos’è che distingue la violenza contro le donne dalle altre forme di violenza (di cui possono essere indistintamente vittime donne e uomini)? Cosa la definisce? Non qualunque atto violento nei confronti di una donna è infatti ascrivibile alla categoria “violenza contro le donne”, ma lo sono solo quelli gender-based come dice la risoluzione dell’Onu che istituisce la Giornata, ossia quelli nei quali il fatto che la vittima sia una donna è dirimente. Si tratta di atti di violenza dunque che, a parità di circostanze, non si verificherebbero se al posto di una donna ci fosse un uomo. È questo scarto di genere che rende quello della violenza contro le donne un fenomeno a sé, che va da un lato contrastato duramente sul piano penale (e le troppe donne che vengono uccise dopo aver varie volte denunciato i loro persecutori dimostrano che anche su questo piano c’è ancora molto lavoro da fare) e dall’altro indagato e combattuto nelle sue radici sociali, economiche, politiche, religiose, culturali.
La violenza contro le donne assume le forme più diverse: è violenza di Stato come nel regime di apartheid di genere instaurato in Iran (tollerata dal resto del mondo per ragioni geopolitiche), è violenza comunitaria esercitata da gruppi e famiglie in nome del rispetto di “tradizioni” e della tutela “dell’onore” (tollerata dal resto della società per non essere tacciati di razzismo), è violenza che si esercita dentro le mura di casa (tollerata dai vicini per quieto vivere e minimizzata dalle autorità). Nonostante ciascuno di questi contesti abbia ovviamente le proprie specificità, le donne che subiscono violenza in ciascuno di essi sentono risuonare all’unisono, come una vibrazione universale, l’inno delle donne iraniane: “Donna, vita, libertà”. Che poi è il senso dello slogan che ha sempre attraversato le piazze femministe: “Per ogni donna stuprata e offesa, siamo tutte parte lesa”. Per ogni donna stuprata e offesa ovunque nel mondo e in qualunque contesto culturale e religioso. Perché i diritti, se non sono universali, si chiamano privilegi.
Questo di tanto in tanto alcune femministe in questa parte di mondo lo scordano, irretite anch’esse come molta parte della sinistra e del pensiero sedicente progressista da un relativismo culturale e da un’ossessione inclusivista che inverte l’ordine delle cose: anziché i diritti umani universali, mettono al primo posto la difesa delle “culture”, anziché la lotta unitaria contro ogni patriarcato (di qualunque colore politico e con qualunque veste religiosa si presenti), mettono al primo posto l’inclusione identitaria.
Così facendo si annaspa lottando contro un genericissimo e ipostatizzato “Patriarcato” e non si vedono più le configurazioni concrete che questo patriarcato assume di volta in volta, nutrendosi avidamente dei contenuti misogini che tutte le religioni abbondantemente gli offrono (e no, non solo nelle loro versioni più fondamentaliste: Bergoglio docet).
Tra i complici della cultura patriarcale nella quale si sviluppa poi la violenza di genere ci sono, ahinoi, anche diverse donne. Mentre questo numero va in stampa muove i suoi primi passi il primo governo della storia d’Italia guidato da una donna. Sulla carta un evento da festeggiare per le donne. E invece da festeggiare non c’è proprio nulla, semmai c’è da riflettere e da chiedersi: dove abbiamo sbagliato? Se a raggiungere questo traguardo – che tale è oggettivamente, proprio come un traguardo fu ottenere il diritto di voto o la possibilità di ricoprire ruoli prima preclusi alle donne, come quello di magistrato – è una donna il cui governo è espressione della più reazionaria cultura patriarcale che questo Paese abbia saputo esprimere negli ultimi anni, evidentemente qualcosa non è andata nella direzione che il movimento delle donne auspicava.
La lotta delle donne doveva essere lotta per liberarsi (e per liberare la società tutta) dalle strutture patriarcali, non per scacciare da qualche posto apicale qualche maschio potente mantenendo intatte quelle strutture, e anzi rafforzandole. Che è esattamente quello che sta accadendo con questo governo, in cui alcune donne ricoprono ruoli apicali dai quali hanno tutta l’intenzione di continuare a perpetuare quelle strutture patriarcali e reazionarie che di tanto in tanto concedono a qualche singola donna di emergere ma che le donne come “classe” le relega a custodi dei valori tradizionali “Dio, Patria e Famiglia”. Se a occuparsi delle Pari opportunità sarà l’ultracattolica Eugenia Roccella, già anima di quella Internazionale dell’integralismo cattolico che fu il Family Day, e se quella delega viene incorniciata fra la Famiglia da un lato e la Natalità dall’altro, il fatto che a ricoprire quel ruolo sia una donna non fa che confermare una banale, e amara, verità: non basta essere donne per essere femministe. Il che significa anche che la lotta per la liberazione delle donne è una lotta interamente e squisitamente politica, che si gioca tutta sul terreno dei contenuti politici e non su quello delle appartenenze e rivendicazioni identitarie. Come ci insegnano le coraggiose donne iraniane alla cui lotta dedichiamo questo volume.
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