Landini: “Ridare cittadinanza al mondo del lavoro significa rafforzare la democrazia”
In occasione del Primo Maggio, una intervista al segretario della Cgil sui referendum dell’8 e 9 giugno che pongono in stretta correlazione diritti del lavoro e partecipazione democratica.
In occasione della Festa dei lavoratori, condividiamo un’intervista al segretario della Cgil Maurizio Landini a proposito dei referendum del prossimo 8 e 9 giugno. Un appuntamento per difendere i diritti dei lavoratori. E la democrazia.
Buon Primo Maggio a tutte e tutti dalla redazione di MicroMega!
Referendum, Landini: “Ridare cittadinanza al mondo del lavoro significa rafforzare la democrazia”
di Mosè Vernetti
L’8 e il 9 giugno si va a votare per un lavoro “sicuro, stabile, tutelato e dignitoso”. Reintegro in caso di licenziamento illegittimo, drastica riduzione dei contratti a termine precari, responsabilizzazione delle aziende appaltatrici per gli infortuni sul posto di lavoro: queste le formule della Cgil per andare a colpire il Jobs Act di Renzi alle sue fondamenta. Quattro questi referendari (più uno sulla cittadinanza) per la dignità dei lavoratori e delle lavoratrici: se passa, sarà la più grande sconfitta contro il pensiero neoliberista – che confonde (intenzionalmente) la flessibilità del mercato del lavoro con la ricattabilità di chi lavora – dai referendum contro le privatizzazioni del 2011. I referendum rimangono gli strumenti più efficaci per imporre il volere popolare contro governi che hanno ormai normalizzato la decretazione di urgenza svilendo l’autorità del parlamento. Certo è che in epoca di astensionismo e di crisi della rappresentanza il raggiungimento del quorum rappresenta una sfida non indifferente. Fino al 4 maggio sarà possibile registrarsi per il voto fuori sede: per la prima volta chi vive e lavora in una città diversa da quella di residenza, potrà votare senza dover tornare a casa. Si tratta di un’occasione per sferrare un colpo duro al governo Meloni. Dalle tardive mobilitazioni contro l’autonomia differenziata, fino alla coalizione tra piazze e parlamento per contro il Ddl Sicurezza, l’opposizione al modello della destra di governo sta prendendo forma in risposta ai troppi attacchi alla dignità costituzionale. Il referendum dell’8 e 9 giugno sarà un appuntamento per misurare le forze sociali ancora disposte a difendere la Costituzione, dal momento che la repubblica del Jobs Act è fondata sul precariato, e non sul lavoro.
Ne parliamo con Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, in concomitanza con la festa dei lavoratori.
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Lo scorso novembre parlava di rivolta sociale. Il referendum contro il Jobs Act è un primo passo per reagire alla svolta securitaria del governo Meloni? E dopo?
La rivolta sociale di cui parlavo non si riferisce esclusivamente alla svolta securitaria. Ha come obiettivo principale il cambiamento delle condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone che per vivere hanno bisogno di lavorare. La principale responsabilità del governo è l’assenza di politiche che sostengano queste persone che continuano ad avere salari bassi, pochi diritti e un sistema di welfare che fa acqua da tutte le parti. La nostra rivolta, la rivolta di cui parliamo, è fatta di strumenti democratici, a partire dal voto ai referendum.
Pensa che raggiungerete il quorum?
È una sfida molto difficile, ma assolutamente realizzabile. Il nostro primo impegno, come ci ricorda lo stesso Mattarella, è far ritornare le persone a votare. Una democrazia con l’affluenza bassa come l’abbiamo vista in questi ultimi anni è una democrazia in pericolo. Favorire la partecipazione di tutte le cittadine e di tutti i cittadini dovrebbe essere un dovere di tutte le forze politiche.
L’opposizione di centro-sinistra è davvero unita sulla campagna referendaria?
I quesiti in questione vedono l’appoggio ampio di tutte le principali forze di opposizione, non solo da parte dei leader: i comitati territoriali a sostegno dei referendum nati in queste settimane sono costituiti da forze sindacali, da forze politiche e dal mondo associativo. Mi preoccupa l’assoluto silenzio delle forze politiche di maggioranza.
E l’opposizione che non supporta la campagna referendaria?
Ciò che ci interessa di più sono i milioni di persone che a votare non vanno: è a loro che ci rivolgiamo in primo luogo proprio perché consapevoli dell’importanza di battere innanzitutto la rassegnazione.
Volete misurare l’opposizione sociale al governo Meloni con questo referendum?
Il referendum vuole rimettere al centro il valore del lavoro nel nostro paese. Attraverso il cambiamento di norme scellerate che hanno prodotto precarietà, insicurezza, e che continuano a incrementare il numero di morti sul lavoro. Noi vogliamo dare forza al mondo del lavoro, farlo ritornare protagonista. Non vogliamo cambiare solo le leggi sbagliate che ha approvato Meloni, ma anche quelle approvate in passato da altri governi.
Perché l’abrogazione de facto del Jobs Act? In particolare, perché in questo momento storico?
Del Jobs Act vogliamo abrogare la norma più odiosa, quella che toglie il diritto ad essere reintegrati in caso di licenziamento illegittimo a chi è stato assunto dopo il 2015. È una delle più forti fonti di ingiustizia, un’ingiustizia che oggi riguarda quasi quattro milioni di persone, ma che presto potrebbe riguardare tutto il mondo del lavoro. Dobbiamo ripensare il diritto del lavoro del nostro paese e quella sui licenziamenti è una delle ferite più profonde da curare: se vogliamo invertire una tendenza dobbiamo partire da qui.
Se il referendum passerà, sarà davvero una svolta per la situazione catastrofica delle morti sul posto di lavoro?
Sì, sarà un segnale chiaro per un sistema imprenditoriale profondamente sbagliato che scarica i costi sul sistema di appalti e subappalti: tutti, nella catena di imprese, devono farsi carico di garantire la salute e la sicurezza a tutto il personale a vario titolo impegnato. Non possiamo accettare che ci siano lavoratori di serie B non tutelati per far fare più profitti alle aziende committenti.
Più tutele per i lavoratori aiuteranno nella lotta con le derive autoritarie?
C’è uno stretto nesso tra democrazia e mondo del lavoro: non è un caso che a contribuire all’astensionismo siano le persone che stanno peggio, spesso quei lavoratori senza diritti a causa delle politiche realizzate negli ultimi vent’anni. Ridare cittadinanza al mondo del lavoro significa rafforzare la democrazia e costruire i necessari anticorpi per qualsiasi deriva autoritaria.
Servirà un altro referendum contro il Dl sicurezza per il diritto allo sciopero?
Il decreto sicurezza va fermato subito, prima che venga approvato in parlamento. Facciamo appello a tutte le forze politiche affinché si eviti questo ennesimo schiaffo al diritto al dissenso.
Benissiiiimo!