Donatella Di Pietrantonio: Racconto di una femminista di provincia
Un estratto dal volume 2/2024 di MicroMega, disponibile in tutte le librerie online.
In occasione del conferimento del Premio Strega alla scrittrice Donatella Di Pietrantonio per il romanzo L’età fragile, edito da Einaudi, condividiamo un breve estratto del contributo che l’autrice ha pubblicato su MicroMega 2/2024, il volume dedicato alla lotta al patriarcato.
Racconto di una femminista di provincia
di Donatella Di Pietrantonio
La mia iniziazione al femminismo è avvenuta nella seconda metà degli anni Settanta, da adolescente. Frequentavo il liceo scientifico a Penne, un paese di dodicimila abitanti nell’entroterra pescarese. Già in prima superiore eravamo studenti politicizzati, come si diceva allora, ma le studentesse di più. Le ragazze di quarta e quinta si occupavano di noi, ci istruivano. Eravamo comuniste, leggevamo Lotta Continua sotto gli sguardi preoccupati dei docenti. Durante il sequestro Moro sulla porta della mia aula comparve una scritta, ma piccola: W LE BR, e sotto: A MORTE MORO. Vennero i carabinieri a perquisirci, in cerca di un pennarello rosso.
Nessuno di noi lo pensava veramente, fu una ragazzata. Stavamo prendendo posizione nel mondo, con un pensiero, un’ideologia, anche ingenua e confusa. Nella fodera della mia giacca un carabiniere sentì al tatto qualcosa, credette forse di aver trovato il pennarello, ma era solo una Bic scivolata da un buco della tasca.
Grazie alle più grandi, e pure un po’ forzate da loro, cominciammo a dichiararci femministe. Non sentivamo quasi per niente l’imbarazzo di trovarci in una periferia così remota del movimento, coglievamo in pieno l’eco delle battaglie che le donne combattevano nelle città, le rilanciavamo nel nostro piccolo. Organizzavamo scioperi e cortei per sostenere il diritto all’aborto: sfilavamo in poche ma agguerrite nelle vie del paese, con i mazzetti di prezzemolo in mano, guardate come pazze, come streghe con gli zoccoli e le gonne a fiori. Ancora oggi resta un mistero per me che a mio padre, in campagna, non sia mai arrivata voce su quelle nostre manifestazioni, che non abbia notato il prezzemolo che spariva dall’orto – ne portavo anche per le altre. Se l’avesse saputo mi avrebbe caricata di botte. Ero una figlia del patriarcato, quello duro, roccioso, primitivo, quello che sulle figlie disubbidienti usava le mani.
Quando la legge 194 fu approvata avevo sedici anni e fu una festa. Ma per una mia amica non era arrivata in tempo, lei aveva già abortito clandestinamente. Poteva capitare a me. Il suo ragazzo, che guadagnava bene, per consolarla le regalò una pelliccia vera, che guardavo con invidia e orrore.
Le nostre sorelle maggiori femministe ci insegnarono ad ascoltarci, a capire come ci sentivamo, cosa stavamo provando. Se una di noi al mattino scendeva dall’autobus con la faccia contrariata, le altre si avvicinavano a chiedere: stai male? Eravamo molto sensibili allo star male dentro, non fisico. Ce lo domandavamo di continuo: stai male? In quella sorellanza intima e politica io che non avevo sorelle biologiche – nemmeno fratelli – trovavo conforto, riparo, un’accoglienza incondizionata. A casa avevo quel padre.
Insieme abbiamo scoperto il corpo. Il corpo che in famiglia ci avevano insegnato a coprire, nascondere, negare. Il corpo da tenersi stretto e non dare, luogo del vizio e del peccato. Tra le amiche più strette si sono sincronizzati i cicli mestruali e in quella settimana al mese era un gran traffico di assorbenti, un andare e venire dal bagno della scuola, tra i rimproveri. Sempre insieme, voi. Sempre insieme, noi.
La mia prima e più autentica relazione con il femminismo è stata quella, la ricordo come un’esperienza di libertà e di legami elettivi tra giovani donne. Era una condivisione totale, non condividere era un tabù. Qualsiasi aspetto del personale era immediatamente politico, oggetto di dibattito. In comune le letture: Porci con le ali di Lidia Ravera (il coautore Marco Lombardo Radice tendevamo a dimenticarlo), Paura di volare dell’americana Erica Jong di cui abbiamo letto anche il sequel Come salvarsi la vita, per poi abbandonarla. Ma soprattutto leggevamo saggi, utili alla nostra formazione. Non era così facile procurarseli, quei testi non arrivavano alle cartolerie del paese e Amazon non esisteva. A volte qualcuna andava a Roma e li comprava, poi passavano di mano in mano, di testa in testa. La rivoluzione più lunga, che era la nostra. Noi e il nostro corpo, dal sottotitolo rassicurante: Scritto dalle donne per le donne. Un collettivo femminista di Boston ci prometteva già nella prefazione di liberarci dalle preoccupazioni sul corpo e insegnarci a «fare uso delle nostre energie disinibite».
Ci credevamo, ma poi non era così semplice, nella realtà. Eravamo ribelli e convinte di esserci già emancipate, solo il mondo esterno, il mondo maschilista ci frapponeva ostacoli che avremmo superato. Eravamo ottimiste, fiduciose nel potere della nostra volontà. Non del tutto consapevoli di quanto fossimo già intossicate dai disvalori patriarcali. Io, per esempio, alle prese con le prime esperienze sessuali. Mi vergognavo di non arrivare all’orgasmo cosiddetto vaginale, fingevo di sì. Lo recitavo, a beneficio di un ragazzo ugualmente inesperto, preoccupato soltanto della sua potenza e del suo piacere. Mi vedevo con quegli occhi, occhi di maschio, e se non godevo con il solo coito era colpa mia, mia inadeguatezza. Nella sfera intima il femminismo di cui mi riempivo la bocca non arrivava, non arrivavano le sorelle d’anima, i collettivi da Boston, i saggi e i romanzi, ero sola e spaventata. Come davanti a mio padre. Anche a lui raccontavo bugie. Per poter vivere, conquistarmi le libertà minime. Essere giovane, uscire. Fosse stato per lui sarei uscita di casa solo per andare a scuola, a messa, ai balli di contrada, dove le ragazze stavano sul lato di una stanza e i maschi si avvicinavano a sceglierne una che gli garbasse con un cenno del mento che voleva dire: tu adesso balli con me.
Io non volevo mai andare a quelle serate, ma a volte mio padre mi obbligava. Per gentilezza verso i vicini che le organizzavano, diceva. Il mio volere contava poco. Venivo scelta per ultima o per niente. Così magra, scarse tette, quella faccia scontrosa, schifata. Non so se fosse più umiliante essere chiamata dai maschi in quel modo, o restare al palo mentre ballavano tutti. Gli adulti come mio padre sorvegliavano che i giovanotti non ci mettessero troppo le mani addosso, che non stringessero o si strusciassero oltre il limite. […]
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IL SOMMARIO DEL NUMERO
ICEBERG 1 - patriarcato/patriarcati
Eva Cantarella - La misoginia nell’Antica Grecia
L’ammirazione e la gratitudine per quello che i Greci ci hanno tramandato in termini di produzione filosofica, letteraria, artistica non può esimerci dal constatare che ci hanno lasciato anche una pesantissima eredità: quella della discriminazione del genere femminile. È infatti proprio nella Grecia classica che per la prima volta le donne sono sistematicamente escluse dallo spazio pubblico.
Francesco Remotti, Paola Sacchi e Pier Paolo Viazzo - Vecchi e nuovi patriarcati in una prospettiva antropologica
Dopo averlo per lungo tempo abbandonato, l’antropologia sta tornando allo studio del patriarcato ponendo una serie di domande nuove e incalzanti. Se il termine patriarcato indica senza dubbio un potere, di che tipo di potere si tratta? Chi sono coloro che in concreto lo esercitano? E chi sono, a loro volta, coloro che lo subiscono?
Giuliana Sgrena - Dio contro le donne
Sebbene il patriarcato non sia nato con le religioni monoteiste, queste ultime sono sempre state sue fedeli alleate. Cristianesimo, ebraismo e islam, attingendo a testi sacri infarciti di misoginia, hanno infatti tenacemente contribuito al mantenimento delle strutture patriarcali nel corso dei secoli. E anche se oggi si intravedono timidi progressi imposti dai cambiamenti della società, i maschi dentro le istituzioni religiose non sembrano voler cedere il loro potere.
Ingrid Colanicchia - Italia, c’era una volta (e c’è ancora) un Paese patriarcale
In Italia, nel dopoguerra, è iniziato un sistematico – seppur lento e tardivo – smantellamento di leggi e norme che costituivano l’ossatura giuridica e istituzionale di un Paese profondamente patriarcale. Le tante lotte delle donne – da quella per il diritto di voto a quella per l’abolizione del delitto d’onore, passando per divorzio e aborto – sono riuscite ad abbatterle una per una. Una rassegna delle norme contro le donne che ci siamo lasciati alle spalle. Speriamo per sempre.
Federica D’Alessio - Oltre il patriarcato, ancora non sappiamo
L’ordine patriarcale inteso come potere del pater familias è stato smantellato o è in via di smantellamento o consunzione in molti luoghi del mondo, non soltanto in Occidente. Ma non è sorto alcun ordine sociale sostitutivo o alternativo, anche per via di un’importante mancanza di visione e progettazione in seno al femminismo e a tutti i movimenti per la liberazione. E in questa assenza di un ordine orientativo, si stanno facendo avanti forme insidiose di revanchismo.
ICEBERG 2 - le parole e la realtà
Cristiana De Santis - Perché una tavola rotonda “non” è rotonda
È difficile negare che ogni lingua abbia una struttura grammaticale consolidata che prescinde dalla molteplicità degli usi individuali, parlati e scritti: l’esistenza di una simile struttura è condizione per ogni sviluppo possibile del sistema stesso. Certo, le regole di una lingua non sono scritte sulla pietra, sono sedimentate nel tempo e soggette a evoluzioni dovute a molti fattori, fra i quali anche l’uso personale che i diversi soggetti ne fanno. L’importante è che l’esperienza non si diffranga al punto da rendere impossibile la comunicazione e la reciproca comprensione.
Giuliana Giusti - Tra maschile “non marcato” e schwa. Riflessioni sul riferimento inclusivo in italiano
La lingua e il genere sociale hanno un forte valore identitario, come dimostrano gli accesi dibattiti su qualunque questione linguistica e qualunque ridefinizione dei ruoli sociali. È legittimo sollevare la questione della rappresentazione delle persone con genere non binario. In questa impresa, tuttavia, è necessario un lavoro approfondito e dettagliato che tenga conto delle strutture morfologiche e fonologiche della lingua. E soprattutto che non si traduca in una cannibalizzazione del genere femminile con la creazione di un terzo genere formato, di fatto e di nuovo, sul maschile.
Federico Zappino - Linguaggio, realtà, materialità
Che i corpi materiali esistano a prescindere da se e come noi li nominiamo è pacifico. Ma la “realtà” non si riduce alla materialità; la “realtà” è piuttosto l’ordine impartito alla materialità. Un ordine, questo sì, profondamente influenzato dalla cultura, dalla storia, dai rapporti di potere, infine anche dal linguaggio.
Iole Natoli - La lunga lotta per il cognome materno
Se è vero che dare nomi è un atto linguistico, l’attribuzione del cognome è l’atto linguistico per eccellenza, con cui si circoscrive, si fonda e si narra un’appartenenza delle persone all’ordine famigliare. Un ordine che è stato per secoli rigorosamente patriarcale e patrilineare, finché qualcuna non ha cominciato a mettere in discussione lo status quo, esigendo il riconoscimento della madre come origine non solo della nascita, ma di un nuovo sistema sociale.
Paola Di Nicola Travaglini - Quando la violenza sulle donne si legge nelle sentenze
Un’analisi delle sentenze in tema di violenza contro le donne – dagli stupri ai femminicidi, passando per le molestie – fa emergere un linguaggio che sistematicamente attinge agli stereotipi e ai pregiudizi anziché ai fatti. Un linguaggio che esprime una precisa rappresentazione culturale e sociale dei ruoli di genere e della violenza contro le donne e che, quando diventa la parola pubblica dello Stato, alimenta la tolleranza sociale e l’impunità rispetto alla violenza stessa.
A PIÙ VOCI - il femminismo ieri, oggi, domani
In questa sezione abbiamo raccolto le voci di intellettuali, scrittrici, attiviste alle quali abbiamo chiesto di ragionare attorno al femminismo e alle lotte delle donne oggi. L’obiettivo era ottenere un affresco vivido di quel che si muove nel variegato mondo del movimento delle donne nel mondo. Vi hanno contribuito: Simona Ammerata, Lucia Raffa, Annarosa Buttarelli, Alessandra Chiricosta, Laura Cima, Anna Maria Crispino, Maria Rosa Cutrufelli , Dahlia de la Cerda, Donatella Di Pietrantonio, Monica Lanfranco, Dacia Maraini, Valeria Parrella, Maria Serena Sapegno, Chiara Saraceno, Alice Schwarzer, Nadia Terranova e Samia Walid.
INEDITO
Fanny de Beauharnais - Scritti sulla condizione femminile (presentazione di Marco Menin)
Se è difficile immaginare la nascita del femminismo senza l’Illuminismo, rimane innegabile che quella settecentesca è ancora una società profondamente misogina, nella quale l’esclusione delle donne dalla Repubblica delle lettere è pressoché sistematica e le intellettuali devono far fronte a innumerevoli ostacoli per affermarsi. Lo mostra anche la storia di Fanny de Beauharnais, autrice di racconti, poesie e pamphlet, il cui salotto letterario ospita alcune delle personalità di maggior spicco dei Lumi, della quale presentiamo per la prima volta al pubblico italiano un’ampia selezione di scritti.